Patologie | Gomito

Chirurgia del gomito

L’articolazione del gomito è formata da diverse articolazioni singole dotate di movimenti propri: l’articolazione tra omero e ulna, che consente movimenti di flessione ed estensione, l’articolazione tra omero e radio e l’articolazione tra radio e ulna, che consentono la rotazione dell’avambraccio nei movimenti di prono- supinazione.

Ciascuna articolazione a cerniera ha un legamento di sostegno laterale che viene posto in tensione sia nella flessione che nell’estensione, limitando i movimenti non richiesti.
In corrispondenza della faccia interna ed esterna della capsula articolare, ci sono due robusti legamenti: il legamento collaterale mediale (ulnare) e il legamento collaterale laterale (radiale).
.

Questa regione è frequentemente esposta ai traumi che possono provocare fratture delle ossa del gomito ma anche la rottura dei legamenti che stabilizzano l’articolazione producendo esiti invalidanti, in particolare  rigidità e instabilità,  anche molto importanti.

E’ pertanto indispensabile un trattamento rapido ed adeguato di queste lesioni che attualmente si avvale di sistemi di fissazione dell’osso e di sostituzione protesica che consentono un rapido recupero funzionale. 

Il gomito può inoltre soffrire di patologie da sovraccarico funzionale come le tendinopatie degli estensori e dei flessori del polso e della mano che prendono il nome di epicondilite omerale o “gomito del tennista” ed epitrocleite omerale o “gomito del golfista”.
Le strutture interessate da tale patologia sono i tendini degli estensori e dei flessori di polso e mano all’inserzione, rispettivamente, su epicondilo ed epitroclea omerale.

L’irritazione tendinea sembrerebbe originata dalle vibrazioni trasmesse lungo l’avambraccio dopo il colpo inferto all’attrezzo sportivo (racchetta da tennis, mazza da golf, giavellotto ecc…) ed è più frequente nello sportivo amatoriale od a basso livello agonistico che non nell’atleta ad alto livello.

In realtà anche i non sportivi possono soffrire di queste patologie che provocano difficoltà nei comuni gesti quotidiani come il portare una valigia o una busta della spesa, versare l’acqua da una bottiglia.

Il dolore è il sintomo principale che all’inizio si manifesta solo con taluni movimenti; nell’epicondilite è riferito nella porzione laterale del gomito con irradiazione alla regione dorsale dell’avambraccio mentre nell’epitrocleite è avvertito nella porzione mediale del gomito e irradiato alla superficie anteriore dell’avambraccio.

In seguito il dolore diviene continuo disturbando il riposo notturno e limitando la vita quotidiana poiché si risveglia con movimenti banali per esempio afferrando una bottiglia o lavandosi i denti.
La diagnosi è essenzialmente clinica eventualmente integrata da esami radiologici standard per escludere microlesioni ossee e da RMN per indagare le strutture tendinee. 

Trattamento
Il trattamento si riassume in riposo articolare, antinfiammatori seguiti da fisiokinesiterapia. Talora si praticano infiltrazioni con steroidi. Quando le terapie non risolvono i sintomi si ricorre alla terapia chirurgica.

Questa consiste in genere nel distacco delle inserzioni tendinee dall’osso in modo da ridurre la tensione dei tendini stessi. Viene eseguita in anestesia loco regionale in genere in day-hospital. Dopo l’intervento viene applicato un bendaggio morbido fino alla rimozione dei punti di sutura. 

Un’altra patologia comune del gomito è la compressione del nervo ulnare nel passaggio in una doccia ossea, la doccia epitrocleo-olecranica, situata nella regione mediale del gomito.  La compressione di questo nervo determina dolore e parestesie (formicolio) nella regione mediale e anteriore dell’avambraccio irradiato alla mano al 4° e 5° dito 

L’intervento chirurgico si esegue con un’incisione mediale al gomito . Si reperta il nervo ulnare al davanti del muscolo tricipite e lo si segue fino al di sotto della doccia epitrocleo-olecranica sezionando i tessuti fibrosi che trasformano la doccia in canale.

La neurolisi (liberazione del nervo) può essere sufficiente a determinare la risoluzione dei sintomi; in alcuni casi alla neurolisi viene associata la trasposizione del nervo. Questa consiste nel creare un nuovo alloggio del nervo al di fuori del suo canale naturale trasponendolo anteriormente fra i muscoli epitrocleari e la fascia superficiale.
Al termine dell’intervento viene eseguito un bendaggio molle fino alla rimozione delle suture.

Patologie | Lesioni tendinee

lesione-bicipte-e1555175057702

I movimenti della mano sono possibili grazie alla presenza dei tendini: i tendini flessori si trovano nel palmo della mano e del polso e servono a piegare le dita, i tendini estensori si trovano sul dorso della mano e del polso e servono ad estendere le dita. Questi tendini si continuano nell’avambraccio dove si trovano i relativi muscoli.

Quando questi tendini vengono lesi si crea un deficit parziale o completo del movimento cui è deputato quello specifico tendine. La lesione può essere provocata da una ferita o più raramente da un brusco movimento contro resistenza o da un semplice urto (rotture sottocutanee).

In genere una visita specialistica è sufficiente a rilevare una lesione tendinea; nei casi dubbi si può ricorrere ad una ecografia, e in casi particolari, ad una RMN (risonanza magnetica nucleare).

Le lesioni tendinee devono essere riparate al fine di ripristinare la funzione persa.
Nelle lesioni acute è bene suturare il tendine il più presto possibile, meglio se entro i primi 2 o 3 giorni, una sutura diretta del tendine è possibile entro un periodo massimo di 3 0 4 settimane.

Oltre questo periodi il tendine ed il relativo muscolo perdono elasticità (accorciamento) e bisogna eseguire interventi più complessi: innesti tendinei, trasferimento di altri tendini o altro.

Rischi e complicanze. Una volta eseguita la sutura del tendine si pongono due problemi principali: il tendine deve essere protetto fine di ottenere una buona cicatrizzazione della sutura  ma, allo stesso tempo, l’immobilizzazione favorisce la formazione di aderenze tra il tendine e le strutture che lo avvolgono. Queste aderenze impediranno il normale scorrimento del tendine una volta guarito e provocheranno una rigidità del dito o della mano.

In definitiva nella riparazione di un tendine bisogna adottare un programma riabilitativo molto delicato: un equilibrio tra protezione della sutura e rapida mobilizzazione per cercare di limitare il più possibile da un lato il rischio di rottura del tendine prima che sia ben cicatrizzato e dall’altra la formazione di aderenze.

A questo scopo esistono vari tipi di suture tendinee e vari protocolli riabilitativi che verranno scelti in base al tipo di lesione (netta o da schiacciamento etc…) e al tipo di paziente (adulto o bambino, collaborante o meno etc..).

Le lesioni tendinee sono sempre lesioni serie, i tempi di guarigione e di riabilitazione possono essere anche lunghi. La ripresa funzionale può richiedere vari mesi e non sempre è possibile ottenere una funzione completa;  per questo motivo la loro riparazione deve essere eseguita da chirurghi che abbiano una specifica competenza in materia.

Fratture | Mano

frattura-falange-mano-1024x620Le ossa della mano (falangi e metacarpi), pur se molto resistenti possono fratturarsi se sottoposte ad un trauma violento: schiacciamento, distorsione, urto, ecc.   Il trattamento varia in relazione alla sede e alle caratteristiche della frattura, all’età del paziente. E’ importante sapere che queste fratture, anche quelle apparentemente banali, se non trattate correttamente, possono dar luogo a esiti funzionali anche permanenti (rigidità, limitazioni funzionali, deformità, difetti di rotazione). 

Nelle fratture composte e stabili è sufficiente una immobilizzazione in tutore, stecca o gesso per un periodo variabile fra le 3 e le 5 settimane a seconda della sede della frattura. L’immobilizzazione deve rispettare rigorosamente la posizione funzionale delle diverse articolazioni per evitare rigidità residue e deve essere mantenuta per lo stretto tempo necessario.

Nelle fratture scomposte o instabili è spesso necessario ricorrere ad un trattamento chirurgico. Esistono diverse tecniche e mezzi di fissazione dai semplici fili metallici di Kirschner, alle viti e alle placche miniaturizzate, ai sistemi di fissazione esterna; ciascun sistema deve essere adattato al tipo di frattura e al paziente che lo richiede.

La filosofia moderna è quella di eseguire una sintesi la più stabile possibile, così da consentire una rapida ripresa del movimento, producendo il minimo danno chirurgico possibile (mini invasività).  Questi concetti hanno determinato un ricorso sempre maggiore ai sistemi di fissazione interna stabile miniaturizzati o a sistemi di sintesi endomidollare che consentano il movimento immediato della parte. Le tecniche suddette ovviamente richiedono una estrema meticolosità e precisione da parte del chirurgo. 

La complicanza più frequente, una volta guarita la frattura, è la limitazione del movimento della mano o delle dita interessate. Aderenze e retrazioni conseguenti alla immobilizzazione possono  formarsi a livello dei tendini, dei legamenti e delle articolazioni. Per limitare questo rischio è necessario immobilizzare correttamente le fratture per lo stretto tempo necessario o operare la frattura consentendo una precoce mobilizzazione. Per riacquistare un buon movimento, dopo una frattura della mano, è quasi sempre necessario eseguire una riabilitazione (fisioterapia).

Altre complicanza possibili sono il ritardo o la mancata consolidazione della frattura, l’infezione, la deformità, la sindrome algo-distrofica. Sebbene alcune di queste siano legate al tipo di trauma e di frattura o alle caratteristiche del paziente, un trattamento attento e corretto è in grado di minimizzare il rischio di sviluppare delle complicanze.
 

Fratture | Scafoide

Schermata 2020-03-19 alle 15.54.00

Lo scafoide è un piccolo osso molto importante situato all’interno del polso (carpo) ed è l’osso che più frequentemente subisce fratture. La frattura si verifica spesso in persone giovani ed attive, frequentemente nel corso dell’esercizio dell’attività sportiva. 

La frattura dello scafoide presenta diverse problematiche:

  • non è sempre facile da diagnosticare perché il dolore può essere modesto ed  è sempre possibile che una sottilissima linea di frattura all’interno dello scafoide non sia visibile alla prima radiografia; la frattura può pertanto passare misconosciuta.
  • la frattura può non guarire e andare incontro ad una pseudoartrosi (mancata consolidazione) che può creare problemi anche gravi alla funzionalità del polso e richiedere trattamenti chirurgici impegnativi. Ciò è legato principalmente alla caratteristica vascolarizzazione dell’osso per cui l’approvvigionamento di sangue ad un estremità dell’osso può essere bruscamente interrotto dalla frattura. 

Una frattura dello scafoide può essere trattata in due modi:

  1. trattamento in gesso: nelle fratture complete il gesso deve essere mantenuto per circa 3 mesi. Seppure condotto correttamente il trattamento in gesso ha una percentuale di fallimento per mancata consolidazione di circa il 20%.  Nelle fratture incomplete o della porzione più distale può essere sufficiente un gesso corto per 45 giorni
  2. trattamento chirurgico di osteosintesi con vite percutanea. Questa tecnica moderna e innovativa  ha il vantaggio della assoluta mini invasività. Attraverso una piccola incisione della cute di pochi millimetri si introduce una particolare vite che fissa e compatta la frattura. L’intervento è eseguito in anestesia loco regionale (si addormenta solo l’arto superiore interessato). Sotto il controllo di un apposito apparecchio radiologico un filo di acciaio viene infisso nello scafoide. La pelle viene incisa  intorno al filo, quanto basta per far avanzare e penetrare la vite cannulata nello scafoide. Attraverso un monitor radiologico, il chirurgo controlla il corretto posizionamento della vite e la stabilizzazione della frattura. Non avendo testa, la vite viene avvitata fino ad affondare completamente sotto la superficie della cartilagine e non deve essere successivamente rimossa. A questo punto cacciavite e filo guida vengono ritirati, mentre la vite può essere lasciata per sempre nella sua posizione definitiva;  solo un cerottino sulla pelle resta a testimoniare l’intervento. In questo caso si  evita l’immobilizzazione in gesso; occorre mantenere dopo l’intervento un tutore in genere per un periodo di circa 3 settimane. Questo trattamento consente pertanto  un ritorno molto  rapido alla piena attività ed è particolarmente indicato negli sportivi ma in genere in tutte le persone attive. La fissazione con vite dà inoltre una maggior certezza della guarigione dell’osso con percentuali di mancata consolidazione bassissime.

Nei casi in cui la frattura non guarisca (pseudoartrosi) occorre in genere apporre nella sede di frattura un innesto osseo, generalmente ma non necessariamente associato a fissazione con vite. Il piccolo innesto osseo può essere prelevato dall’avambraccio (radio vicino al polso, o dall’area del bacino (più precisamente dalla cresta iliaca). L’innesto osseo può essere anche preso da una sede vicina alla scafoide con un peduncolo vascolare che lo nutre (“innesto vascolarizzato”).

 Sfortunatamente comunque esiste un certo rischio di sviluppare artrosi secondaria in seguito a qualunque frattura di scafoide, in particolare quando vi siano state difficoltà nel portarla a guarigione. Se la frattura non guarisce nonostante tutti i tentativi possibili, l’artrosi secondaria è assolutamente inevitabile. Esistono diversi interventi in grado di alleviare i sintomi persistenti di questa condizione definita “SNAC wrist” anche se difficilmente sono in grado di garantire un recupero completo della funzionalità  del polso.

Patologie | Morbo di De Quervain

De_Quervain-400x356 è una tendinite localizzata a livello del polso, alla base del pollice. Sono interessati i tendini abduttore lungo del pollice (che “divarica” il pollice dal palmo) ed il tendine estensore breve del pollice (che stende la prima parte del pollice). 

Può essere causata da sforzi inusuali, ma si può presentare anche senza una causa apparente. Il sintomo principale è il dolore presente spontaneamente o nei movimenti del pollice, soprattutto nell’atto di prendere, afferrare o stringere, sollevare pesi. Il dolore è localizzato al polso e può estendersi lungo l’avambraccio e lungo il pollice.

La tendinite di De Quervain è causata dall’infiammazione e quindi dall’ingrossamento dei tendini suddetti. A livello del polso essi scorrono in un canale fibroso piuttosto “aderente” che li tiene ancorati all’osso. Nel caso di infiammazione lo spazio a loro disposizione non è più sufficiente; lo sfregamento dei tendini provoca ulteriore trauma e dolore nei movimenti.

La cura consiste nel mettere al riposo il polso ed il pollice con un tutore apposito, evitare sforzi, assumere antinfiammatori per via generale o per infiltrazione locale ed eventualmente sottoporsi a fisiochinesiterapia, secondo le prescrizioni del medico.

Se il dolore persiste o aumenta è indicato sottoporsi ad intervento chirurgico.
L’intervento è praticato in anestesia locale e consiste nella sezione del canale fibroso (1° compartimento del polso) al fine di dare più spazio allo scorrimento dei tendini.

Dopo l’intervento è consigliato muovere da subito il pollice pur evitando sforzi per alcune settimane. Rischi legati all’intervento sono dovuti principalmente alla vicinanza di alcuni rami nervosi (rami sensitivi del nervo radiale) che in alcuni casi vengono disturbati dalla formazione della cicatrice cutanea dando luogo ad una zona di intorpidimento e/o di parestesie della cute.

Fratture | Frattura del polso

La frattura del polso è una delle fratture più frequenti in assoluto. La frattura è causata, in  genere, da una caduta durante la quale ci si protegge con la mano dall’impatto con il terreno. L’intero peso del corpo viene così a gravare sul polso determinandone la lesione ossea.

Gli anziani sono più soggetti a questo tipo di lesione a causa della fragilità ossea legata all’osteoporosi. Nei giovani invece la frattura del polso è spesso causata da incidenti stradali o da traumi subiti durante attività sportive come il motociclismo, l’equitazione, lo sci, il rugby, ecc.

Il polso è un’articolazione complessa che mette in comunicazione l’avambraccio con la mano. E’ formato dalla porzione terminale delle ossa dell’avambraccio, il radio e l’ulna, e da una doppia fila di piccole ossa chiamate ossa carpali che si articolano insieme per stabilizzare l’articolazione e consentire un’ampia gamma di movimenti.

Nel verificarsi della frattura si ha in genere la scomposizione dei frammenti ossei che determina un’alterazione dei rapporti fra le ossa dell’articolazione. Qualora non si interviene correttamente e la frattura guarisce in scomposizione (mal consolidazione) si possono avere difetti della funzione, dolore, precoce insorgenza di artrosi, alterazione del profilo del polso con evidente inestetismo.

E’ pertanto importante che la frattura sia trattata precocemente e che si ripristini il più possibile la normale anatomia del polso. Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella cura di queste lesioni tanto che il trattamento ha subito una vera e propria rivoluzione. Difatti si ricorre sempre meno al trattamento in gesso, limitandolo alle fratture più semplici, per ricorrere ad interventi di osteosintesi in cui l’osso viene ricomposto e fissato con diversi mezzi di sintesi.

Le tecniche chirurgiche possono variare in relazione al tipo di frattura, alle necessità del paziente e all’esperienza del chirurgo. Attualmente vi è la tendenza ad un uso sempre maggiore di mezzi di sintesi interna (placche e viti) che, attraverso delle incisioni chirurgiche limitate e poco invasive, consentono di stabilizzare in maniera ottimale la frattura e permettono di muovere rapidamente il polso senza dover ricorrere all’immobilizzazione in gesso.  Le placche sono costituite in titanio e sono di diversa misura e forma in relazione al tipo di frattura e all’anatomia del polso che viene trattato.                                                 

Patologie | Cisti del polso

cisti-polso1-724x321Le cisti, dette anche gangli, sono formazioni rotondeggianti o plurilobulate di consistenza duro-elastica che compaiono spontaneamente al polso e alle dita.
La loro dimensione può variare da pochi millimetri a 3-4-centimetri di diametro, possono aumentare o, più raramente, diminuire di grandezza e provocare dolore; hanno una consistenza duro-elastica e non sono mai aderenti alla cute sovrastante.

Al polso sono dovute dalla “fuoriuscita” del liquido presente normalmente nell’articolazione (liquido sinoviale)da una estroflessione della capsula dell’articolazione, soprattutto quando la quantità di tale liquido aumenta in caso di infiammazione, traumi o artrosi.

Il loro aumento di volume è determinato da un meccanismo a valvola che s’instaura tra l’articolazione e la cisti. A livello delle dita più spesso sono dovute alla fuoriuscita dello stesso liquido sinoviale, che si trova intorno ai tendini (cisti tendinee) oppure essere originate dalle articolazioni delle dita.

Anche i tendini a livello del polso possono sviluppare cisti tendinee. Può essere utile eseguire una radiografia per escludere altre patologie a carico dell’osso ed una ecografia per accertarsi del tipo di contenuto della cisti (liquido o solido).

Queste cisti, a contenuto liquido, non destano preoccupazione anche se raramente regrediscono spontaneamente. Vengono rimosse chirurgicamente per eliminare il dolore presente o l’inestetismo nel caso aumentino molto di volume.

L’intervento può essere delicato nei casi in cui le cisti si formino vicino a strutture delicate quali arterie, nervi, tendini; una volta rimosse chirurgicamente, seppur raramente, possono recidivare.

L’intervento viene eseguito in anestesia loco-regionale (addormentando il braccio) o locale (addormentando solo la porzione adiacente la cisti) in regime di day-hospital.
Nel caso l’ecografia rivelasse un contenuto solido della “cisti” se ne deve approfondire lo studio per formulare una diagnosi.

In presenza di una tumefazione che cresce rapidamente, è bene consultare il medico con una certa rapidità.

Lavori scientifici | Complicazioni nella sintesi con placche nelle fratture di polso

Schermata 2020-03-18 alle 11.43.24

Patologie | Morbo di Dupuytren

morbo-di-Dupuytren-678x381Il Morbo di Dupuytren è dovuto all’ispessimento e ad una eventuale retrazione (accorciamento) di un tessuto fasciale sottocutaneo della mano e delle dita chiamata aponeurosi.

All’inizio della malattia si nota solo la comparsa di noduli e di piccoli infossamenti al palmo della mano o alle dita oppure la formazione di “cordoni” che si dirigono dal palmo verso le dita.

La malattia può interessare solo il palmo, solo le dita o entrambe. Può interessare solo un dito o più dita (con maggior frequenza l’anulare ed il mignolo).
Quando inizia la retrazione diviene impossibile far aderire il palmo della mano a piatto su un tavolo.

La causa della malattia è ancora sconosciuta. Si manifesta più frequentemente negli uomini dopo i 40 anni ed ha una certa predisposizione familiare; nelle donne è molto più raro.

La sua evoluzione è imprevedibile: può restare per sempre allo stadio iniziale (ad. es. solo noduli al palmo) o evolvere (rapidamente o lentamente) con formazione di cordoni retraenti fino alla completa flessione delle dita sul palmo.

Non esistono a tutt’oggi farmaci in grado di modificarne l’evoluzione anche se la fisioterapia, iniezioni locali di cortisone ed un tutore notturno in estensione delle dita possono essere utili.

Si consiglia l’intervento nei casi in cui sia già presente una retrazione con iniziale  flessione delle dita o, nei casi in cui sia colpito solo il palmo, in presenza di fastidi e/o di dolori.

L’operazione, o aponevrectomia, rimuove le corde e i noduli per permettere l’estensione delle dita e quindi il recupero funzionale. E’ un’operazione delicata a causa delle strutture vasculo-nervose e tendinee che si trovano nel palmo della mano e perché richiede spesso plastiche cutanee.

Una caratteristica della Malattia di Dupuytren  e’ la estrema variabilità con cui si manifesta, sia in termini di estensione e grado di retrazione delle dita che di velocità di evoluzione. Questo fatto comporta una scelta di trattamento personalizzata, basata soprattutto sull’esperienza del chirurgo.

Maggiore è la retrazione e, quindi, la flessione delle dita, maggiormente impegnativo sarà l’intervento e, soprattutto nei casi insorti da molto tempo, minore sarà la possibilità di ottenere una estensione completa delle dita. Un notevole miglioramento è comunque possibile anche nei casi gravi. 

I rischi legati all’intervento sono molteplici: dovendo estendere dita e cute retratti da molti mesi o anni si avrà uno stiramento dei nervi e delle arterie che si sono “abituate” ad una posizione fissa, in accorciamento, quindi dopo l’intervento si possono avvertire disturbi nervosi (formicolii o altro) e vascolari (impallidimento del dito o particolare sensibilità al freddo), che in genere recedono spontaneamente.

Per estendere bene le dita in alcuni casi gravi è necessario altresì “allungare” o sezionare altre strutture che si sono retratte nella posizione fissa coatta e cioè legamenti e capsula articolare.

Anche la cute (la pelle), una volta “riaperta” ed estesa la mano, può risultare non più sufficiente e quindi rendere necessario l’uso di plastiche o di innesti cutanei (si preleva un piccolo segmento di cute altrove, ad es. al polso) per poter chiudere la ferita.

Dopo l’intervento è necessario muovere la mano e le dita da subito per evitare una nuova retrazione, eventualmente associando fisiokinesiterapia e l’uso di tutori notturni in estensione per qualche settimana.

morbo-di-Dupuytren-678x381, altre dita, all’altra mano.
In rarissimi casi può comparire anche a carico della pianta del piede (malattia di Ledderhose) o del pene (Sindome di La Peyronie).