Fratture | Mano

frattura-falange-mano-1024x620Le ossa della mano (falangi e metacarpi), pur se molto resistenti possono fratturarsi se sottoposte ad un trauma violento: schiacciamento, distorsione, urto, ecc.   Il trattamento varia in relazione alla sede e alle caratteristiche della frattura, all’età del paziente. E’ importante sapere che queste fratture, anche quelle apparentemente banali, se non trattate correttamente, possono dar luogo a esiti funzionali anche permanenti (rigidità, limitazioni funzionali, deformità, difetti di rotazione). 

Nelle fratture composte e stabili è sufficiente una immobilizzazione in tutore, stecca o gesso per un periodo variabile fra le 3 e le 5 settimane a seconda della sede della frattura. L’immobilizzazione deve rispettare rigorosamente la posizione funzionale delle diverse articolazioni per evitare rigidità residue e deve essere mantenuta per lo stretto tempo necessario.

Nelle fratture scomposte o instabili è spesso necessario ricorrere ad un trattamento chirurgico. Esistono diverse tecniche e mezzi di fissazione dai semplici fili metallici di Kirschner, alle viti e alle placche miniaturizzate, ai sistemi di fissazione esterna; ciascun sistema deve essere adattato al tipo di frattura e al paziente che lo richiede.

La filosofia moderna è quella di eseguire una sintesi la più stabile possibile, così da consentire una rapida ripresa del movimento, producendo il minimo danno chirurgico possibile (mini invasività).  Questi concetti hanno determinato un ricorso sempre maggiore ai sistemi di fissazione interna stabile miniaturizzati o a sistemi di sintesi endomidollare che consentano il movimento immediato della parte. Le tecniche suddette ovviamente richiedono una estrema meticolosità e precisione da parte del chirurgo. 

La complicanza più frequente, una volta guarita la frattura, è la limitazione del movimento della mano o delle dita interessate. Aderenze e retrazioni conseguenti alla immobilizzazione possono  formarsi a livello dei tendini, dei legamenti e delle articolazioni. Per limitare questo rischio è necessario immobilizzare correttamente le fratture per lo stretto tempo necessario o operare la frattura consentendo una precoce mobilizzazione. Per riacquistare un buon movimento, dopo una frattura della mano, è quasi sempre necessario eseguire una riabilitazione (fisioterapia).

Altre complicanza possibili sono il ritardo o la mancata consolidazione della frattura, l’infezione, la deformità, la sindrome algo-distrofica. Sebbene alcune di queste siano legate al tipo di trauma e di frattura o alle caratteristiche del paziente, un trattamento attento e corretto è in grado di minimizzare il rischio di sviluppare delle complicanze.
 

Fratture | Scafoide

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Lo scafoide è un piccolo osso molto importante situato all’interno del polso (carpo) ed è l’osso che più frequentemente subisce fratture. La frattura si verifica spesso in persone giovani ed attive, frequentemente nel corso dell’esercizio dell’attività sportiva. 

La frattura dello scafoide presenta diverse problematiche:

  • non è sempre facile da diagnosticare perché il dolore può essere modesto ed  è sempre possibile che una sottilissima linea di frattura all’interno dello scafoide non sia visibile alla prima radiografia; la frattura può pertanto passare misconosciuta.
  • la frattura può non guarire e andare incontro ad una pseudoartrosi (mancata consolidazione) che può creare problemi anche gravi alla funzionalità del polso e richiedere trattamenti chirurgici impegnativi. Ciò è legato principalmente alla caratteristica vascolarizzazione dell’osso per cui l’approvvigionamento di sangue ad un estremità dell’osso può essere bruscamente interrotto dalla frattura. 

Una frattura dello scafoide può essere trattata in due modi:

  1. trattamento in gesso: nelle fratture complete il gesso deve essere mantenuto per circa 3 mesi. Seppure condotto correttamente il trattamento in gesso ha una percentuale di fallimento per mancata consolidazione di circa il 20%.  Nelle fratture incomplete o della porzione più distale può essere sufficiente un gesso corto per 45 giorni
  2. trattamento chirurgico di osteosintesi con vite percutanea. Questa tecnica moderna e innovativa  ha il vantaggio della assoluta mini invasività. Attraverso una piccola incisione della cute di pochi millimetri si introduce una particolare vite che fissa e compatta la frattura. L’intervento è eseguito in anestesia loco regionale (si addormenta solo l’arto superiore interessato). Sotto il controllo di un apposito apparecchio radiologico un filo di acciaio viene infisso nello scafoide. La pelle viene incisa  intorno al filo, quanto basta per far avanzare e penetrare la vite cannulata nello scafoide. Attraverso un monitor radiologico, il chirurgo controlla il corretto posizionamento della vite e la stabilizzazione della frattura. Non avendo testa, la vite viene avvitata fino ad affondare completamente sotto la superficie della cartilagine e non deve essere successivamente rimossa. A questo punto cacciavite e filo guida vengono ritirati, mentre la vite può essere lasciata per sempre nella sua posizione definitiva;  solo un cerottino sulla pelle resta a testimoniare l’intervento. In questo caso si  evita l’immobilizzazione in gesso; occorre mantenere dopo l’intervento un tutore in genere per un periodo di circa 3 settimane. Questo trattamento consente pertanto  un ritorno molto  rapido alla piena attività ed è particolarmente indicato negli sportivi ma in genere in tutte le persone attive. La fissazione con vite dà inoltre una maggior certezza della guarigione dell’osso con percentuali di mancata consolidazione bassissime.

Nei casi in cui la frattura non guarisca (pseudoartrosi) occorre in genere apporre nella sede di frattura un innesto osseo, generalmente ma non necessariamente associato a fissazione con vite. Il piccolo innesto osseo può essere prelevato dall’avambraccio (radio vicino al polso, o dall’area del bacino (più precisamente dalla cresta iliaca). L’innesto osseo può essere anche preso da una sede vicina alla scafoide con un peduncolo vascolare che lo nutre (“innesto vascolarizzato”).

 Sfortunatamente comunque esiste un certo rischio di sviluppare artrosi secondaria in seguito a qualunque frattura di scafoide, in particolare quando vi siano state difficoltà nel portarla a guarigione. Se la frattura non guarisce nonostante tutti i tentativi possibili, l’artrosi secondaria è assolutamente inevitabile. Esistono diversi interventi in grado di alleviare i sintomi persistenti di questa condizione definita “SNAC wrist” anche se difficilmente sono in grado di garantire un recupero completo della funzionalità  del polso.

Fratture | Frattura del polso

La frattura del polso è una delle fratture più frequenti in assoluto. La frattura è causata, in  genere, da una caduta durante la quale ci si protegge con la mano dall’impatto con il terreno. L’intero peso del corpo viene così a gravare sul polso determinandone la lesione ossea.

Gli anziani sono più soggetti a questo tipo di lesione a causa della fragilità ossea legata all’osteoporosi. Nei giovani invece la frattura del polso è spesso causata da incidenti stradali o da traumi subiti durante attività sportive come il motociclismo, l’equitazione, lo sci, il rugby, ecc.

Il polso è un’articolazione complessa che mette in comunicazione l’avambraccio con la mano. E’ formato dalla porzione terminale delle ossa dell’avambraccio, il radio e l’ulna, e da una doppia fila di piccole ossa chiamate ossa carpali che si articolano insieme per stabilizzare l’articolazione e consentire un’ampia gamma di movimenti.

Nel verificarsi della frattura si ha in genere la scomposizione dei frammenti ossei che determina un’alterazione dei rapporti fra le ossa dell’articolazione. Qualora non si interviene correttamente e la frattura guarisce in scomposizione (mal consolidazione) si possono avere difetti della funzione, dolore, precoce insorgenza di artrosi, alterazione del profilo del polso con evidente inestetismo.

E’ pertanto importante che la frattura sia trattata precocemente e che si ripristini il più possibile la normale anatomia del polso. Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella cura di queste lesioni tanto che il trattamento ha subito una vera e propria rivoluzione. Difatti si ricorre sempre meno al trattamento in gesso, limitandolo alle fratture più semplici, per ricorrere ad interventi di osteosintesi in cui l’osso viene ricomposto e fissato con diversi mezzi di sintesi.

Le tecniche chirurgiche possono variare in relazione al tipo di frattura, alle necessità del paziente e all’esperienza del chirurgo. Attualmente vi è la tendenza ad un uso sempre maggiore di mezzi di sintesi interna (placche e viti) che, attraverso delle incisioni chirurgiche limitate e poco invasive, consentono di stabilizzare in maniera ottimale la frattura e permettono di muovere rapidamente il polso senza dover ricorrere all’immobilizzazione in gesso.  Le placche sono costituite in titanio e sono di diversa misura e forma in relazione al tipo di frattura e all’anatomia del polso che viene trattato.